Se Dio è buono, perché c’è il male nel mondo?

Condividi sui social:

1 • La “domanda delle domande”

  • Se Dio è buono, perché esiste il male?
  • Se Dio esiste, perché ci sono i terremoti, gli tsunami e nascono bambini down?
  • Perché Dio permette il dolore innocente?

Alzi la mano chi non si è mai posto una di queste domande…

La domanda sul problema del male non è “una” domanda: è il mostro finale delle domande.

bloodborne

2 • Il problema del male

Dopo una lunga ricerca nei labirinti Pthumeriani (cioè su Google), ho scoperto che la questione è talmente grossa, da meritarsi una branca tutta sua della teologia (e una pagina tutta sua su Wikipedia), che si chiama «teodicea».

Per chi non si fosse mai posto la domanda su Dio e sul male, la riassumo molto brevemente:

  • che nel mondo ci sia il male non c’è bisogno di dimostrarlo (è sufficiente constatarlo);
  • per quanto riguarda Dio, invece, ci sono due opzioni: o esiste, o non esiste;
  • Se esiste, sembrerebbe che rispetto ai mali dell’uomo Egli non intervenga. Da qui, dunque, due opzioni:
    • O non è onnipotente: vorrebbe intervenire, ma non può
    • Oppure è onnipotente: potrebbe intervenire, ma non vuole

Il problema su Dio e il male ha suscitato non poche perplessità nel cammino di fede di un sacco di persone…

…tant’è che in molti, dopo aver ricevuto il “sacramento dell’Addio” (a.k.a. la Cresima), non trovando una risposta a questa domanda, hanno finito per immaginare Dio come una sorta di datore di lavoro infame:

dio teodicea

3 • La risposta giusta è la… la…

Insomma, veniamo alla risposta…

Come si può rispondere, senza fare la figura…

male nel mondo

Il fumettista Carl Barks, nel 1952, inizia la narrazione della storia “Zio Paperone e il ventino fatale” disegnando Qui, Quo e Qua che passeggiano per Shacktown, il quartiere povero di Paperopoli.

Camminando per quelle vie, e osservando tutte le famiglie indigenti, Qui esclama:

carl barks shacktown

Parafrasando quel che ha detto il saggio nipote di Paperino, è difficile rispondere a questo tipo di domande se non hai messo le mani in pasta nel dolore.

Cioè. A provarci, ci puoi pure provare.

Poi però molto probabilmente riceverai una di queste risposte:

  • «Se avessi sofferto veramente non le diresti ‘ste cose…»
  • «Ancora che parli te che al massimo c’hai avuto un’unghia incarnita?»
  • «Ma cosa ne sai tu delle mie sofferenze
  • «Con la tua spiegazione sul perché del male nel mondo, mi ci lavo le ascelle…»

…risposte che io – per la cronaca – trovo sacrosante e legittime

Provare a spiegare il male infatti sembra sempre qualcosa di spocchioso, di forzato.

Di blasfemo.

Insomma (tanto per mettere subito le mani avanti): anch’io mi sento un po’ un porcellino grasso nei confronti di tante sofferenze che ho avuto modo di vedere intorno a me, ma che non ho mai sperimentato di persona.

tre porcellini

4 • Il male raccontato dai sofferenti

Diceva il filosofo francese Paul Ricoeur:

Il male non si può spiegare: si può solo raccontare.

Negli ultimi anni, alla ricerca di una risposta alla domanda sul problema del male, mi sono imbattuto nelle storie di alcune persone che hanno sofferto molto e che hanno deciso di mettere nero su bianco la loro esperienza di dolore.

Ho scoperto la storia incredibile di Salvatore Crisafulli (vedi bibliografia a fondo pagina).

Quella di Adriano Stagnaro (di nuovo, in bibliografia), di Wanda Półtawska (anche lei in bibliografia).

Quella di Zack Collie (andatevi a cercare il suo canale su YouTube).

In questo paragrafo però voglio soffermarmi soltanto su un piccolo spicchio della vita di Clive Staples Lewis.

Forse saprete che Lewis era un razionalista agnostico, che poi si è convertito al cristianesimo intorno ai trent’anni.

Una parte di questa colpa, a onor del vero, la si potrebbe attribuire a Tolkien (fervente cattolico), che era uno suo caro amico…

…tra l’altro, anche Lewis partecipava al circolo di discussione letteraria degli Inklings

inklings tolkien lewis

Nel 1950 Lewis conobbe Joy Davidman. Nel 1952, i due si sono sposati.

Pochi anni dopo il matrimonio però, Joy ha avuto un tumore alle ossa e nel giro di pochissimo tempo è morta.

Nei mesi successivi, Lewis ha annotato in un diario tutte le riflessioni e gli stati d’animo che di giorno in giorno sperimentava: il dolore viscerale, la fatica del lutto, la nostalgia per la moglie, la ricerca di una Speranza che sembrava offuscarsi.

L’anno dopo ha deciso di pubblicare quelle pagine, con lo pseudonimo di N. W. Clerk (nel libro “A Grief Observed”, tradotto in italiano con “Diario di un dolore”).

Riporto qui di seguito alcune frasi da questo diario, sulle quali mi sono soffermato:

Sono sempre riuscito a pregare per gli altri morti, e lo faccio ancora, con una certa fiducia. Ma quando cerco di pregare per H. mi arresto. Sono sbigottito, sopraffatto dallo smarrimento. Ho un’orribile sensazione di irrealtà, mi sembra di parlare nel vuoto di qualcosa che non esiste.

(CLIVE STAPLES LEWIS, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 2019, p.28)

…e poco più avanti:

Prendiamo una corda: è facile dire che la credi sana e robusta finché la usi per legare un baule. Ma immagina di doverci restare appeso sopra un precipizio. Non vorresti prima scoprire fino a che punto te ne fidi?
[…]
Solo un rischio vero mette alla prova la realtà di una convinzione.

(CLIVE STAPLES LEWIS, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 2019, p.29)

…e ancora:

Egli ci fa soffrire al di là delle nostre paure più terribili e di ogni nostra capacità immaginativa.

(CLIVE STAPLES LEWIS, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 2019, p.34)

Frasi un po’ troppo dure?

Forse… o forse no, per nulla… non lo so…

In ogni caso, Lewis non ha paura di mettere a nudo, davanti a Dio, tutto il proprio essere, la propria fragilità, i propri dubbi.

È caduta (se mai c’era stata) ogni forma di “religiosità borghese”

Ma andiamo avanti con qualche altro passo:

No, la mia paura reale non è il materialismo. Se fosse vero, o noi – o ciò che scambiamo per “noi” – potremmo sfuggire alla lama. Un tubetto di sonniferi e sarebbe fatta.

Ho molta più paura che siamo in realtà topi in trappola. O peggio: topi di laboratorio.

[…]

Prima o poi dovrò affrontare la domanda in parole povere. A parte i nostri disperati desideri, che ragione abbiamo per credere che Dio, qualunque metro di giudizio possiamo immaginare, sia «buono»? Tutte le prove manifeste non indicano esattamente il contrario? Che cosa abbiamo da opporre?

(CLIVE STAPLES LEWIS, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 2019, p.35-36)

In tutta la prima parte del libro-diario, Lewis continua a porgere (a sé e a Dio) queste domande incalzanti.

Nonostante il tono e nonostante la durezza delle domande, mi sembra evidente che quella di Lewis sia una fede viva. Fede nella quale certamente patisce, si agita, si inquieta, ma sempre con l’intento di fare verità.

Quello che sta vivendo è un vero e proprio combattimento spirituale.

Questa tensione, questo struggimento, questa inquietudine che egli mette a nudo davanti a Dio – al quale a volte porge anche domande scomode (un po’ come Giobbe nella Bibbia) – credo che siano molto sane.

Profondamente cristiane.

Alla faccia di un certo modo di pensare, da persone annoiate e con la pancia un po’ troppo piena, che della religione credono di aver già capito tutto

Per Lewis, il rapporto con Dio non è un’oasi in cui evadere dai problemi del mondo.

Tutto il contrario.

5 • La quiete dopo il grido

Leggiamo più avanti nel diario:

Queste righe le ho scritte ieri sera. Più che un pensiero, è stato un urlo. Riproviamo. È razionale credere in un Dio cattivo? O comunque, in un Dio tanto cattivo? Il Sadico Cosmico, l’idiota malevolo?
Direi che, se non altro, è troppo antropomorfico.
Molto più antropomorfico, a ben riflettere, che raffigurarcelo come un maestoso vecchio re con la barba fluente. […] Pur essendo (formalmente) il ritratto di un uomo, accenna a qualcosa che trascende l’umanità. Quanto meno, suggerisce l’idea di qualcosa di più vecchio di noi, qualcosa di più sapiente, qualcosa di insondabile. Lascia intatto il mistero. E quindi lascia spazio alla speranza. E quindi spazio a un timore o a una soggezione che non devono necessariamente essere la paura degli arbitrii di un potentato malevolo.
Il ritratto che tracciavo ieri sera, invece, è solo quello di un uomo come S.C., che sedeva vicino a me a cena e mi raccontava che cosa aveva fatto ai gatti nel pomeriggio. Ora, un essere come S.C., ingrandito quanto si vuole, non saprebbe inventare o creare o governare alcunché.
Preparerebbe le trappole e cercherebbe le esche. Ma non gli sarebbero mai venute in mente esche come l’amore, le risate, i narcisi, un tramonto sulla campagna gelata.
Lui, fare l’universo? Ma se non saprebbe nemmeno fare una battuta, fare un inchino, fare penitenza, fare amicizia.

(CLIVE STAPLES LEWIS, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 2019, p.37-38)

E poco dopo:

Nel bridge, mi dicono che si deve giocare a soldi, “altrimenti il gioco non è serio”. Qui è la stessa cosa, a quanto pare.
La dichiarazione – Dio o nessun Dio, Dio buono o Sadico Cosmico, vita eterna o il nulla – non è seria se non c’è una posta di qualche valore.
E fino a che punto sia seria lo si scopre solo quando le puntate diventano paurosamente alte, quando si capisce che la posta in gioco non è un pugno di gettoni o di monetina, ma la nostra intera ricchezza.
Niente che sia meno di questo può scuotere l’uomo (non, almeno, un uomo come me) dalle sue riflessioni meramente verbali e dalle sue convinzioni meramente immaginarie.
Per farlo tornare in sé, il colpo deve prima rincretinirlo. Solo la tortura tira fuori la verità. Solo con la tortura egli riesce a scoprirla.

(CLIVE STAPLES LEWIS, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 2019, p.45-46)

E per finire:

(una settimana dopo)

Mi pare di essere, in generale, più sano di mente adesso che non allora. Perché le disperate elucubrazioni di un uomo intontito dovrebbero essere più credibili? […]
Tutto quel parlare di un Sadico Cosmico non veniva tanto da una riflessione, quanto dall’odio.
Ne ricavavo l’unico piacere possibile per chi è tormentato: il piacere di restituire i colpi. Erano solo vituperi, insulti, “dire in faccia a Dio quello che pensavo di Lui”.
E naturalmente, come in tutti gli insulti, “quello che pensavo” non significava quello che ritenevo fosse la verità, bensì solo quello che ritenevo L’avrebbe offeso di più (e con Lui i Suoi adoratori). […] Ci si toglie “il peso dallo stomaco”, e per un po’ si sta meglio.
Ma lo stato d’animo non dimostra nulla.
È chiaro che il gatto, sotto il bisturi, brontolerà e soffierà, e cercherà di mordere. Ma la vera questione è se chi opera è un vivisezionatore o un veterinario. Gli insulti del gatto non servono a scoprirlo.

(CLIVE STAPLES LEWIS, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 2019, p.47-48)

6 • …e invece la Bibbia cosa dice?

Qualcuno potrebbe trovare le frasi di Lewis un po’ forti.

Credere che siano i pensieri di un cristiano che ha esagerato; di una pecora nera che non ha peli sulla lingua nel dire a Dio quel che pensa.

(Spero che nessun credente sia rimasto in qualche modo turbato o irrigidito di fronte a questi brani)

In realtà, io li ho trovati molto in risonanza con tanti passi della Bibbia

Oh, per carità, io non sono un esegeta!

Né ho letto la Bibbia per intero.

Però ho avuto la fortuna di soffermarmi su alcuni libri dell’Antico Testamento veramente belli

Ai più intrepidi suggerirei la letture del libro di Giobbe e di Qoelet.
Un po’ alla volta però, senza esagera’… non sia mai che…

libri della bibbia

Riporto qui di seguito alcuni passi:

Se ho peccato, che cosa ti ho fatto,
o custode dell uomo?
Perché m’hai preso a bersaglio
e ti sono diventato di peso?.

(Gb 7, 20)

Tutto ho visto nei giorni della mia vanità: perire il giusto nonostante la sua giustizia, vivere a lungo l’empio nonostante la sua iniquità.

(Qo 7, 15)

Perché il mio dolore è senza fine e la mia piaga incurabile non vuol guarire? Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti.

(Ger 15, 18)

…beh, che dire?

Non mi sembrano molto diversi – come argomenti e come tono – dal discorso di Lewis.

Ebbene, queste frasi si trovano in brani al termine dei quali i cristiani – a Messa – dicono “parola di Dio”.

Il dubbio, la fatica, il risentimento nei confronti di Dio non sono qualcosa “di sbagliato”, di “estraneo alla fede”, che “non sta bene” in un percorso spirituale.

Arrabbiarsi con Dio non è in contrasto con la rivelazione cristiana (non necessariamente, almeno).

Insomma, rubando un pensiero a Franco Nembrini:

Ci sono bestemmie che sono preghiere e preghiere che sono bestemmie.

(FRANCO NEMBRINI, dal suo commento all’Inferno di Dante Alighieri, Canto XIV, Mondadori, 2018, pag. 322)

7 • Cosa dice la Rivelazione cristiana sul male?

Avete presente quell’aforisma da “Bacio Perugina” (che ogni tanto – ahimé – pronuncia anche qualche cristiano): «ogni cosa accade per una ragione»?

Ecco…è falso!

O per lo meno, non è scritto da nessuna parte nella Bibbia, nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nei documenti del Magistero della Chiesa…

Poi oh, il Necronomicon devo ancora finire di leggerlo…

manoscritti pnakotici

Stando alla Rivelazione cristiana, Dio non ha creato il male.

Il male – da un certo punto di vista – non ha senso.

Proprio per questo il problema del male è veramente un dramma; come lo è, d’altronde, il problema della libertà dell’uomo (non sembrerebbe, ma le due cose in realtà sono collegate).

Ecco, anche il concetto di libertà è un bel casino.

Sopratutto nella nostra epoca, in cui siamo un po’ tutti (chi più chi meno) persuasi del fatto che “in fondo tutto è già scritto: a partire dal DNA, passando per l’educazione ricevuta, il contesto in cui viviamo, la cultura, la nazionalità, etc…”.

(Nonostante quest’ultimo sia un dogma che va molto di moda – se devo dire la mia – io non ci credo)

Diceva un Papa nel “buio” Medioevo:

Noi crediamo che il diavolo è diventato cattivo non per predisposizione, ma per libera scelta.

(INNOCENZO III, 1160-1216)

Lo stesso vale per l’uomo; infatti, nel cosiddetto deposito della fede cristiana è contenuto questo fatto: che Dio ha creato l’uomo libero.

Nel dono della libertà – io credo – c’è tutta la grandezza, la paradossalità e il mistero dell’amore di Dio.

La “fregatura” è questa: Dio desidera che l’uomo ami liberamente. E per far questo non può che lasciarlo libero.

Libero di dirgli di sì.

O di rifiutarlo.

Di scegliere il bene che gli è posto innanzi (con tutto ciò che ne consegue).

O di rifiutare il bene (con tutto ciò che ne consegue).

Inolt…

sottointeso

No, non ho detto questo.

Prima o poi, sul blog parleremo pure dell’Inferno (se esiste o no), del Diavolo (se è realtà o superstizione), se al termine della vita ci sia un Giudizio, e di altre cose relative all’“Aldilà”

…adesso però stiamo parlando del male “quiggiù” sulla Terra!

E su questo punto, Gesù mi sembra abbastanza chiaro:

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.

Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

(Lc 13, 1-5)

gesu

Insomma, Gesù spiega – in contrasto con un tipico modo di pensare del suo tempo – che il bene e il male non sono necessariamente dirette e immediate conseguenze delle nostre azioni.

8 • Gesù e il dolore

Scriveva Paul Claudel, poeta e drammaturgo francese:

Gesù non è venuto a sopprimere la sofferenza, e neanche a spiegarla, ma ad abitarla con la sua presenza.

Nel paragrafo precedente scrivevo che non è vero che «ogni cosa accade per una ragione».

È vero però (sempre SE è vero il cristianesimo) che Dio può tirare fuori il bene da ogni situazione, non importa quanto essa sia compromessa o disperata.

sale

(Primavera 2019)

Fonti/approfondimenti

Condividi sui social:

Ti piace il blog?


Clicca la tazzina per aiutarmi a farlo crescere!