Apologia del desiderio (ovvero: Dio si serve anche dei desideri più inconfessabili che hai nel cuore)

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1 • «Va dove ti porta il cuore»… o no?

(Premessa: dato che non posso ripartire ogni volta da Adamo ed Eva, sappiate che nel lontano 2020 avevo scritto una paginetta su passioni, emozioni, sentimenti, etc.; non contento, alla fine del 2022 ho scritto un’altra paginetta sul consumismo e sui falsi bisogni che genera nel cuore dell’uomo. Ora. Ovviamente non è che «vi interrogo» per vedere se le avete lette. Però… ecco… se alla fine della lettura della paginetta di oggi vi sembra che ho dato qualcosa per scontato, provate a vedere se ne avevo parlato in quelle altre due occasioni)

Oggi vorrei cominciare facendo “debunking” di qualche luogo comune.

Primo luogo comune: ci sono alcune persone che dicono che «al cuor non si comanda»

…queste persone, probabilmente, non hanno mai sentito parlare di una cosa chiamata «pubblicità». La pubblicità è quella cosa per cui, in tutto il mondo – grazie a un flusso spaventoso di denaro, tra inserzionisti, targhetizzazione dell’audience, messaggi subliminali, GDPR, etc. – le multinazionali «comandano» al cuore delle persone decine e decine di volte al giorno.

Secondo luogo comune: qualcuno dice «va dove ti porta il cuore»

Che pensiero romantico! L’intuizione del cuore! La scintilla! Il friccico de luna tutta pe’ nnoi!

…peccato che:

Compiere delle scelte sulla base del nostro intuito emotivo, senza l’aiuto della ragione per tenerci in riga, è praticamente sempre una stronzata. Sai chi basa la propria vita sulle emozioni? I bambini di tre anni. E i cani. Sai cos’altro fanno i bambini di tre anni e i cani? La cacca sul tappeto.

(MARK MANSON, La sottile arte di fare quello che c***o ti pare, Newton Compton Editori, Roma 2017, versione Kindle, 17%)

Terzo luogo comune: il motto dell’epoca moderna è «love is love»

…peccato che – nonostante sembri molto “poetica” – questa frase è una tautologia (ovvero, Treccani alla mano, una frase senza contenuto – come quando si dice che «l’acqua è bagnata»). L’espressione «love is love» non ci dice nulla né su cosa sia l’amore, né sul fatto che il sentimento che prova una persona nei confronti di un’altra sia effettivamente amore (per i più intrepidi, nel 2011 avevo scritto una paginetta intitolata «cos’è l’amore?»… leggete a vostro rischio e pericolo…).

Quarto ed ultimo luogo comune: alcune persone, quando qualcuno è triste per le proprie imperfezioni, scoraggiato dai proprî errori, demoralizzato per la distanza tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere, gli dicono: «Dai! Non essere triste! Il segreto è accettarti così come sei!»

…penso che queste persone siano cadute dall’albero degli zoccoli: spesso se una persona è triste è proprio perché «non si accetta così come è». E se una persona non si accetta per quello che è, come puoi dirgli che la “soluzione” al suo problema è quella di «accettarsi così come è»?

accettati come sei

Tutta questa carrellata di esempî mi serviva per dire una cosa: i nostri desiderî sono un bel casino!

  • vorremmo essere felici e “seguire il nostro cuore”;
  • salvo poi accorgerci del fatto che alcune cose che desideravamo – dopo che le abbiamo ottenute – si sono rivelate insipide;
  • facciamo cose che non vorremmo fare;
  • non facciamo cose che sarebbe bene facessimo;
  • ci illudiamo;
  • iniziamo ad avere paura di questi “miraggi”;
  • diventiamo cinici e cerchismo di “sradicare” alcuni desiderî dal cuore;
  • però poi, sotto a questa coltre di cinismo, conserviamo ancora il desiderio di una carezza, di uno sguardo buono;
  • etc.

Insomma…

Un tran tran tra sogni, desideri, delusioni, pali in faccia, immersi nel “supermercato del mondo” che continua a distrarci…

I desiderî sembrano un bel casino…

Come se ne esce allora?

2 • Il problema dei desideri

Non so se avete presenti i famigerati Dieci comandamenti (quelli di cui avevamo parlato qui).

Come sicuramente saprete, il Decalogo è diviso in due “pacchetti” da cinque:

  • il primo gruppo riguarda la relazione con Dio;
  • il secondo gruppo riguarda le relazioni con il prossimo.

I comandamenti del secondo gruppo sono:

  1. non uccidere (*)
  2. non commettere adulterio
  3. non rubare
  4. non dire falsa testimonianza
  5. non desiderare la donna, la casa, il campo, lo schiavo, il bue, l’asino del tuo prossimo

(*) (Qualcuno forse ribatterà che «Non uccidere» è il quinto comandamento, e non il sesto. In realtà, i cristiani hanno accorpato in un’unica frase quelli che per gli ebrei sono il primo e il secondo comandamento… e hanno diviso in due quello che per gli ebrei è l’ultimo comandamento… quindi nel Catechismo della chiesa cattolica tutti i comandamenti sono “scalati” di uno)

L’ultimo comandamento riguarda i desiderî.

«Non desiderare…».

Come spiegava l’antropologo e filosofo francese René Girard (1923-2015):

Il Decalogo, che assegna al suo ultimo comandamento lo scopo di proibire il desiderio dei beni del prossimo, evidentemente lo fa perché riconosce con lucidità in tale desiderio l’elemento scatenante delle violenze proibite nei quattro comandamenti precedenti.
Se smettessimo di desiderare i beni del prossimo, non diventeremmo mai colpevoli né di assassinio, né di adulterio, né di furto, né di falsa testimonianza.
Se il decimo comandamento venisse rispettato, renderebbe superflui i quattro comandamenti che lo precedono.
Invece di partire dalla causa e di proseguire con le conseguenze, come farebbe un’esposizione filosofica, il Decalogo segue l’ordine inverso.
All’inizio fa fronte alle necessità più immediate, e per allontanare la violenza proibisce le azioni violente.
Poi rivolge la sua attenzione alla causa, e scopre il desiderio ispirato dal prossimo.

(RENÉ GIRARD, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano 2007, p.31)

Allora.

Adesso farò l’avvocato del diavolo.

Vi racconto un aneddoto.

Quando ancora vivevo a casa dei miei genitori, la mia stanza confinava con quella dell’appartamento accanto.

Nello specifico, la mia stanza confinava con la camera da letto della signora anziana dell’appartamento accanto.

Bene.

Si dà il caso che quella signora fosse molto anziana.

Probabilmente aveva un principio di alzheimer.

Aveva una badante, sia per il giorno che per la notte.

Per parecchi mesi consecutivi (*), sentivo questa signora di notte che chiamava la badante per chiederle un bicchiere d’acqua, si svegliava per un brutto sogno, piangeva, provava ad alzarsi dal letto, poi veniva la badante che la rimproverava, si riaddormentava, poi si risvegliava, ri-piangeva, poi si riaddormentava, si risvegliava e ri-urlava il nome della badante, etc.

(*) (poi non ce l’ho fatta più, e mi sono trasferito ad Ostia. No, non è uno scherzo. È andata così)

Dovete sapere che io ho il sonno leggerissimo.

E quindi ogni volta che la signora anziana si lamentava nel cuore della notte, svegliava anche me! Sempre!

Io poi tutte le mattine avevo la sveglia presto per andare a lavoro, e mi toccava alzarmi dal letto, rincoglionito di sonno.

anzianicidio

Cosa voglio dire con questo aneddoto?

Voglio dire che il comandamento «non uccidere» ha una grandissima utilità.

Perché?

Perché tu vorresti fare una cosa sbagliata, ma il comandamento sta lì, come un cartello di «warning», che ti fa notare che forse stai per fare una grande cavolata.

Stessa cosa per i comandamenti successivi:

  • vorresti tradire tua moglie, che ti ha «cotto il razzo»… ma c’è un comandamento che sta lì a fare da monito;
  • vorresti sfilare il portafoglio dalla tasca di quella signora disattenta… ma c’è un comandamento che ti avvisa che ti stai comportando male;
  • vorresti mentire… ma…
  • insomma, ci siamo capiti…

Questi comandamenti, in poche parole, sono l’ultima barriera – nel processo decisionale – per evitare di mettere in atto desiderî sbagliati:

desidero fare qualcosa ➡️ ragiono tra me e me se è il caso di farla ➡️ “si accende la spia” del divieto ➡️ non la faccio

Questo ragionamento fila col 6° comandamento… col 7°… con l’8°… con il 9°… maaa…

…come la mettiamo con l’ultimo comandamento?

Come si fa a «non desiderare»?

Non posso scegliere cosa desiderare! I desiderî sono pre-razionali.

Sarebbe come dire:

  • «Sale, qual è il tuo piatto preferito?»
  • «La pasta con le vongole!»
  • «Eh, no, Sale. Non può essere la pasta con le vongole!»
  • «Ma come faccio a far sì che non sia il piatto che mi piace di più? Lo è!»

Come se ne esce?

3 • A che servono i Dieci comandamenti?

La maggior parte delle persone – agnostiche, atee o (sedicenti) cristiane – crede che il cristianesimo consista in questo:

  • provare a comportarmi bene
  • impegnarmi a fare cose che (sotto sotto) non voglio fare
  • sforzarmi di non fare cose che (nella parte più segreta e inconfessabile del mio cuore) vorrei tanto fare

Una minoranza un po’ più studiata (ma altrettanto in errore) pensa che:

  • cristianesimo = ascetismo
  • ascetismo = pessimismo

Ebbene…

…caro ateo…

…caro agnostico…

…caro (sedicente) cristiano…

…non ti sei mai sbagliato tanto in vita tua! Come avrebbe detto Buddha: «questa è una buddhanata».

A tal proposito, ecco cosa scriveva Chesterton nel 1933:

L’ideale ascetico, quantunque parte essenziale dell’idealismo cattolico ben compreso, non ne rappresenta che un lato, ed è ben lungi dal costituire la base della filosofia cattolica.

(GILBERT KEITH CHESTERTON, San Tommaso d’Aquino, Fede & Cultura, Verona 2015, p.64)

Molte (troppe) persone credono che il succo del cristianesimo consista nelle regole.

Nella morale.

Nell’obbedire.

Nel comportarsi bene.

Molte persone credono che i Dieci comandamenti siano il “manuale di istruzioni” di chi voglia definirsi cristiano.

Proviamo a smontare una volta per tutte questa fregnaccia.

Nel paragrafo precedente scrivevo che originariamente i Dieci comandamenti avevano una numerazione diversa, e che quello che noi cristiani chiamiamo «primo comandamento» per gli ebrei era diviso in due parti:

  1. Io sono il Signore, tuo Dio, che ti fece uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi (Es 20,2)
  2. Non avrai altro dio all’infuori di me (Es 20,3)

Perché gli ebrei lo dividevano in due parti?

La prima parte non sembra neanche un “comandamento”…

Più che altro, sembra una “presentazione di Dio”…

Che senso ha?

Il senso è questo: il primo comandamento dice che non si obbedisce ad uno sconosciuto.

Che significa?

Significa che la Legge non ha alcun senso se pensata all’infuori della relazione con Dio.

Cioè?

Se aveste chiesto ad un’israelita vissuto nel IV secolo a.C.: «Perché segui queste regole?», non avrebbe risposto: «Perché le regole sono importanti per la nostra cultura e vanno rispettate!».

La risposta che vi avrebbe dato è scritta nel libro del Deuteronomio:

Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: «Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?», tu risponderai a tuo figlio: «Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi.

(Dt 6, 20-24)

Cioè, parafrasando:

«Ero con il culo per terra.
E con la merda fino al collo.
Avevo finito le idee.
Credevo di essere spacciato.
Ma Qualcuno mi ha tirato fuori dal punto più buio della mia vita.
La mia vita è rifiorita.
Credevo che la felicità fosse qualcosa che non avrei più assaggiato.
Invece, ho visto con questi miei occhi, in modo inequivocabile, non solo che Dio esiste… ma che ha fatto cose incredibili nella mia vita.
Ebbene.
Se questo stesso Dio mi dà delle leggi, come posso non pensare che anche queste leggi siano per il mio bene?»

A questo punto, qualcuno potrebbe pensare che il problema è “risolto”.

Il ragionamento fila:

  1. scopro che Dio è buono;
  2. penso: «Se Dio è buono, anche le sue leggi saranno buone!»;
  3. quindi mi basterà seguire queste leggi per essere felice!

Se fosse così, i Dieci comandamenti sarebbero come la scheda che il personal trainer ti fa in palestra.

Si potrebbe fare lo stesso ragionamento:

  1. trovo un istruttore preparato;
  2. penso: «Se è preparato, di sicuro i suoi programmi saranno efficaci!»;
  3. quindi mi basterà seguire la scheda che mi prepara per perdere i chili di troppo e diminuire il girocosce!

Ebbene…

…grazie a Dio NON È COSÌ!

I Dieci comandamenti non servono a questo!

A che servono allora?

Per rispondere, proviamo a fare un’analogia.

Avete presente quando andate a fare le analisi del sangue?

analisi del sangue

Quando vi restituiscono il risultato dell’analisi del sangue, vi ritrovate per le mani una sfilza di numeri: quantità di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine; formula leucocitaria; quantità di emoglobina; indici corpuscolari, etc.

A meno che non siate studiati in àmbito medico, dubito che quei valori abbiano il minimo senso per voi.

Cosa permette – anche a chi non sa nulla di medicina – di capire a bruciapelo se va tutto bene? (*).

La risposta è semplice: accanto ad ogni quantità è scritta una media di riferimento: se il numerino si trova all’interno di quel range, vuol dire che il valore è a posto (*).

(*) (Oh, rega’, io non sono un medico; se avete un valore nella media, ma state poco bene, vi prego di non andare a dire al vostro medico che avete letto su un blog che «se il valore è nella media, va tutto bene»… la mia è un’analogia, non una diagnosi. Non fate come i complottisti, che iniziano i discorsi con: «Ho letto su internet che…»)

Insomma.

Cosa voglio dire con questa analogia?

Voglio dire che i Dieci comandamenti sono come i parametri di riferimento sulle analisi del sangue.

Servono a mostrarti cosa c’è che non va nella tua vita.

Ti aiutano a fare una diagnosi.

Che è una cosa utile.

La diagnosi però NON È la cura.

Sapere che hai una malattia, non ti fa passare la malattia.

Sapere che ti stai comportando male, non ti fa comportare bene.

I Dieci comandamenti sono né più né meno che questo.

4 • A che serve il decimo comandamento?

A questo punto posso riprendere il discorso sui desiderî.

Il decimo comandamento dice:

Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.

(Deuteronomio 5,21; cfr. anche Es 20,17)

Alla fine del secondo paragrafo dicevo che i desiderî sono qualcosa di pre-razionale; come possono quindi essere l’oggetto di un comandamento?

  • Posso essere abbastanza educato da non rubare al mio vicino il suo smartphone nuovo di zecca… ma come faccio a non desiderarlo?
  • Posso fare lo gnorri rispetto al fatto che il mio vicino possiede una villa a tre piani, con garage, piscina, vasca idromassaggio, sala hobby, videoteca… ma come faccio a non desiderarla?
  • Posso scegliere di non andare a letto con la moglie del mio vicino di casa… ma se è una bella donna, come faccio a non desiderarla?

Posso scegliere di comportarmi in un certo modo (come provavo a dire due settimane fa quando parlavo del libero arbitrio)…

…ma come faccio a scegliere i miei desiderî?

Come si “lavora” sul cuore?

Come possi “impormi” che qualcosa mi piaccia o non mi piaccia?

Insomma… diciamocelo… non è un’esagerazione questo decimo comandamento?

Dio non avrà esagerato?

Non sapendo rispondere a questa domanda, le persone sul pianeta terra (credenti o non credenti) hanno trovato tre diverse “soluzioni”.

Prima “soluzione”: il moralismo

Il caro vecchio moralismo.

La sua efficacia è indiscutibile… vero?

moralismo

In che consiste il moralismo?

Nel tuo cuore si aggirano desiderî cattivi, come i topi nascosti in una nave… ma fai finta di nulla.

Continui a vivere in modo dicotomico:

  • desideri una cosa, ma ne fai un’altra
  • pensi una cosa, ma ne dici un’altra
  • censuri pensieri, che continuano a ripresentarsi

Qual è il problema del moralismo?

Che non funziona!

Non serve a nulla.

Continui a nascondere la polvere sotto al tappeto.

E, anzi, probabilmente il divieto aumenta pure la curiosità e il desiderio per le cose che non dovresti fare.

Seconda “soluzione”: il «che male c’è?»

(Questo argomento lo avevo trattato in modo più approfondito in un’altra pagina del blog)

Provate ad entrare in un’osteria dei Castelli Romani e ad esporre il vostro dilemma morale riguardo al desiderio che provate nei confronti della moglie del vostro vicino.

Riceverete una di queste risposte:

  • «Cioè, me stai a di’ che te senti in colpa perché guardi er culo della vicina?»
  • «Maddai! Che esagggerato! Ma cche ‘tte frega!»
  • «Guarda tutte le donne che te pare!! Basta che nun te fai nota’!»
  • «Se pensi a un’altra donna, basta che nu’ lo dici a tu’ mojje!»
  • «Nun pretende’ troppo da te stesso!»
  • «…in fondo… che male c’è?»

Queste frasi sembrano così accondiscendenti…

Ti fanno sentire meno in colpa…

Ti fanno sentire voluto bene dai burini che frequentano le fraschette…

…peccato che questo modo di pensare conduce a due effetti collaterali abbastanza spiacevoli:

  • non ci diciamo più la verità…
  • …e ci sentiamo tutti un po’ più soli.

Se vivi in questo modo, l’amore che dichiarerai sarà sempre un po’ falso.

Terza “soluzione”: il libertinismo

La terza soluzione è quella che è stata adottata dalla nostra società negli ultimi cinquant’anni – orientativamente a partire dal sessantotto.

E consiste nel canonizzare i desiderî sbagliati:

  • «Se sbavi dietro alla moglie del tuo vicino, non c’è nulla di male!»
  • «Quando c’è sentimento, non c’è mai pentimento! Love is love!»
  • «Dovresti assecondare questo desiderio! Portatela a letto!»
  • «Se rimani con tua moglie, sei un incoerente!»
  • «Sii te stesso!»

Si fa presto a dire «sii te stesso»

…ma «quale» te stesso?

Il figliol prodigo era “sé stesso” quando è uscito di casa per andare a sperperare la sua eredità? (Lc 15,12)

E se era in sé stesso, perché a un certo punto della parabola si dice (dopo che ha seguito tutte le pulsioni sessuali possibili e immaginabili) che «rientrò in sé stesso»? (Lc 15,17)

A volte crediamo di essere «noi stessi»… e invece non lo siamo affatto.

A volte crediamo che un desiderio sia autentico… e invece non lo è.

A volte «sembrava proprio amore»… e invece era troppo sangue nel tessuto cavernoso dell’apparato urologico.

Insomma… sul libertinismo ci sarebbero un’infinità di altre cose da dire; ma ne aggiungo solo un’altra.

Come dice spesso don Fabio Rosini:

«Io raccolgo ancora i cocci dei figli dei sessantottini»

(FABIO ROSINI, dalle catechesi del percorso delle Dieci Parole)

vietato vietare

Come se ne esce?

Se le tre “soluzioni” che ho scritto sono false piste… come ne usciamo?

Come si fa a «Non desiderare le cose sbagliate» senza diventare moralisti o nevrotici?

Qualcuno dira: «È sufficiente non dargli troppo peso!».

Purtroppo la soluzione non è così semplice: «non dargli troppo peso» significa continuare a vivere una vita falsa, non autentica, eternamente lacerato tra i tuoi desiderî inconfessabili e il modo un po’ fasullo in cui sei costretto a comportarti davanti a tua moglie o ai tuoi amici (*).

(*) (Non è un libro che consiglierei a tutti, ma ai più temerarî suggerirei la lettura di «Memorie dal sottosuolo» di Dostoevskij; è il flusso di coscienza di un uomo che racconta tutto il marcio che ha nel cuore e tutti i pensieri contraddittorî che per anni ha nascosto sotto al tappeto… fidati, non sei diverso da quest’uomo! E neanch’io sono diverso da lui!)

Qual è “la soluzione”?

Se non ci siete ancora arrivati, sappiate che pure Paolo di Tarso ha penato molto in questa ricerca; l’amarezza emerge anche in qualche passaggio delle sue lettere:

Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?

(Rm 7,24)

Paolo era profondamente angustiato dai desiderî contrastanti che aveva nel cuore.

La stessa cosa è capitata a Ignazio di Loyola, a Giovanni della Croce, a Blaise Pascal, a Luigi Giussani…

Vediamo se nella Bibbia è scritto come uscirne

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.
(Sal 130,1-2)

Sii attento alla voce del mio grido,
o mio re e mio Dio,
perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera.
(Sal 5,3)

Precedo l’aurora e grido aiuto,
spero nelle tue parole.
(Sal 119,147)

Nell’angoscia invocai il Signore,
nell’angoscia gridai al mio Dio:
dal suo tempio ascoltò la mia voce,
a lui, ai suoi orecchi, giunse il mio grido.
(Es 2,24)

Sono sfinito dal gridare,
la mia gola è riarsa;
i miei occhi si consumano
nell’attesa del mio Dio.
(Sal 69,4)

Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso.
(Dt 26,7-8)

Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe.
(Es 2,24)

«Ho osservato la miseria del mio popolo […] ho udito il suo grido […]: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo […]».
(Es 3,7)

La parola «gridare» (nelle varie declinazioni: «grido», «grida», «gridai», «gridammo») compare nella Bibbia oltre 450 volte.

Perché nella Bibbia ci sono tutte queste grida?

La Bibbia è piena di storie di persone che desideravano ardentemente essere liberate.

E hanno urlato a Dio.

Prima parlavo di tutte quelle persone che credono che la fede consista nel «comportarsi bene».

Cazzata allucinante!

La fede è quella di chi ha urlato a pieni polmoni a Dio la propria debolezza, ed è stato fatto nuovo.

Come diceva Agostino d’Ippona:

Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te.

(AGOSTINO D’IPPONA, Sermone CLXIX, 13)

E sapete qual è il paradosso?

Le persone che hanno fatto quell’urlo, sono state spinte dai proprî desiderî:

«Signore, liberami!
Dammi la tua vita!
Dammi la vita che io non ho!
Ri-orienta i miei desiderî!
Donami di amare mia moglie, i miei figli, i miei amici, i miei parenti, in modo autentico, non falso, non ambiguo!
Donami un cuore nuovo!
Donami di non sbavare appresso alle altre donne, non “per moralismo”, ma per amore tuo e di mia moglie!
Signore, ho sentito parlare di questa vita!
Dammela…
Non me ne vado finché non me la dai!»

I cristiani sono quelli che chiedono la vita di Cristo.

I cristiani sono quelli che chiedono i desideri di Cristo.

Esatto, avete capito bene.

Pensavate che i desiderî fossero un problema…

…invece sono la soluzione.

L’«apparato desiderante» non è sbagliato… te l’ha dato Dio!

«Peccare» significa «cercare la vita dove non c’è».

Quello che cerchi, lo DEVI trovare: la vita va trovata.

Ma bisogna cercarla nel posto giusto.

I desiderî non vanno repressi, ma redenti!

  • Per fare un santo, «ci vuole un avaro»… cioè qualcuno che desideri una ricchezza enorme!
  • Per fare un santo, «ci vuole un iroso»… non abbandonerai mai veramente nessuno dei tuoi peccati finché non lo odi! Finché non avrai un desiderio “rabbioso” di vita!
  • Per fare un santo, «ci vuole un accidioso»… ovvero una persona stufa della solita vita piccolo borghese… delle uscite fino a tardi… della mondanità…
  • Per fare un santo, «ci vuole una santa tristezza» secondo Dio… ovvero il pentimento per il male fatto!
  • Per fare un santo, «ci vuole un invidioso»… ovvero una persona che desidera per sé una chiamata da parte di Dio a fare qualcosa di grande, come Pietro… o Paolo… o Giovanni… o Francesco d’Assisi…
  • Per fare un santo, «ci vuole un goloso»… ovvero una persona che ha desiderio e curiosità di gustare tutto ciò che Dio gli metterà davanti nella vita!
  • Per fare un santo, «ci vuole un superbo»… ovvero una persona che sa che Dio non «spara nel mucchio»; che sa che Dio si rivolge proprio a lei, che sta profondamente a cuore a Dio!
  • Per fare un santo, «ci vuole un lussurioso»… ovvero una persona a cui si accenda il cuore per qualcosa di grande e infuocante.

Non può esistere nessuna chiamata alla santità che si basi sull’«invito a non peccare».

Che invito sarebbe? «Non» fare qualcosa?

È inutile (e forse deleterio) dire alle persone di «non peccare!», ossia di non fare questa o quella cosa…

…quello che bisogna fare è recuperare il posto che il peccato sta togliendo a qualcos ALTRO di più bello.

(Questo paragrafo in realtà è una parafrasi di alcune catechesi di don Fabio Rosini, che mi sono rimaste tatuate in testa; penso che il percorso delle Dieci parole sia stata una delle esperienze più belle che ho vissuto negli ultimi dieci anni. Se non avete ancora avuto modo di seguirlo, vi auguro di farlo prima o poi…)

(P.s. aggiunto due mesi dopo la scrittura di questa paginetta: un paio di settimane fa è uscito l’ultimo libro di don Fabio «L’arte della buona battaglia»… neanche a dirlo, me lo sono divorato! Nel libro ho ritrovato molti passaggi delle catechesi delle Dieci parole ai quali accennavo nella precedente parentesi, e dai quali ho attinto per scrivere questo paragrafo… se non vi potete ascoltare le sue catechesi, leggetevi almeno il libro!)

5 • Desiderare il cielo

Pensavo.

Sapete qual è uno dei desiderî più ricorrenti su cui fa leva Gesù, quando parla con quelli che gli sono più vicini?

Esatto… lo avete letto nel titolo di questo paragrafo:

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
(Mt 5,3)

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
(Mt 5,12)

Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
(Mt 5,20)

Accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano.
(Mt 6,20)

Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.
(Lc 10,20)

Oggi parlare del «cielo» risulta un po’ cringe.

E infatti, non so se ci avete fatto caso, questa parola è quasi del tutto scomparsa dalle catechesi, dalle omelie e dalla pastorale degli ultimi cinquant’anni.

La ragione è presto detta…

cristiani cringe

Insomma, visto che nessuno vuole passare per un ingenuo e sentire il branco che lo prende in giro, il problema è stato risolto in questo modo: «se sei cristiano, non parlare del cielo e andrà tutto bene!».

Questa cosa però è un po’ strana.

Voglio dire.

Gesù nomina spessissimo «il cielo» (vedi gli esempî che ho fatto sopra).

Se questa parola è così tanto spesso sulle sue labbra, non bisognerà forse prenderla seriamente in considerazione?

Lo scrittore britannico Clive Stapes Lewis scriveva queste righe:

Oggi siamo molto reticenti anche solo a nominare il Cielo; abbiamo paura di essere presi in giro per questa «promessa di felicità» e di essere accusati di voler sfuggire al dovere di costruire un mondo felice qui sulla terra per rincorrere sogni di un mondo felice altrove.
Ma, o le promesse di felicità sono fondate, o no.
Se non lo sono, il cristianesimo è falso perché la sua dottrina ne è fittamente intessuta; se sono fondate, questa verità, come qualsiasi altra, deve essere affrontata, che sia utile nei raduni politici o no.
Inoltre abbiamo paura che il Cielo possa essere solo un’esca allettante e che, se ne facciamo la nostra meta, cesseremo di essere disinteressati nelle nostre azioni.
Ma non è così: il Cielo non offre nulla che un’anima mercenaria possa desiderare.
Si può dire con sicurezza ai puri di cuore che vedranno Dio, perché solo i puri di cuore lo vogliono.
Ci sono ricompense che non macchiano l’onore delle motivazioni: l’amore di un uomo per una donna non è mercenario per il fatto che la voglia sposare, né il suo amore per la poesia è mercenario perché ne voglia leggere, né il suo amore per l’esercizio fisico è meno disinteressato perché voglia correre, saltare e camminare. L’amore per definizione cerca di godere del suo oggetto.

(CLIVE STAPLES LEWIS, dal saggio Il cielo, in Ibid., Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012, versione Kindle, 86-87%)

Qualche riga dopo, Lewis sgancia la bomba:

Ci sono state delle volte in cui ho pensato che non desideriamo il Cielo, ma più spesso mi sono trovato a chiedermi se, nel fondo del cuore, non abbiamo mai desiderato altro.
Forse avrete notato che i libri che veramente amate sono legati insieme da un filo segreto; sapete benissimo quale è la caratteristica comune che ve li fa amare, anche se non riuscite a tradurla in parole; ma la maggior parte dei vostri amici non la vede affatto e spesso si chiede perché, se vi piace questo, vi piaccia anche quello.
Ancora, forse vi siete trovati davanti a un paesaggio che sembrava incorporare quello che avete sempre cercato, e poi vi siete girati verso l’amico al vostro fianco, che sembrava vedere quello che vedevate voi – ma alle prime parole tra di voi si è aperta una voragine, e avete capito che questo paesaggi per lui aveva un significato completamente diverso, che stava inseguendo una visione estranea a voi e che non era affatto sensibile all’ineffabile suggestione da cui eravate trasportato voi.
Perfino nei vostri hobby, non c’è forse sempre stata un’attrazione segreta che gli altri stranamente ignorano, qualcosa che non si identifica – ma sembra sempre sul punto di rivelarsi – col profumo del legno tagliato in falegnameria o col clap clap dell’acqua contro i fianchi di una barca?
E non è forse vero che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore (sebbene vago e incerto anche nei migliori amici) di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate da sempre di trovare, di vedere e di sentire, sotto il flusso di altri desiderî e in tutti i temporanei silenzî tra le altre passioni più forti, notte e giorno, anno dopo anno, dall’infanzia alla vecchiaia?
Non l’avete mai posseduto.
Tutte le cose che hanno mai posseduto profondamente la vostra anima ne sono state solo degli indizî – barlumi allettanti, promesse mai completamente realizzate, echi che si spegnevano subito appena vi arrivavano alle orecchie.
Ma se questa cosa dovesse veramente manifestarsi – se mai dovesse sentirsi un’eco che non si spegnesse subito ma si espandesse nel suono stesso – voi lo sapreste.
Al di là di ogni possibilità di dubbio direste: «Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato».
Non possiamo parlarne gli uni con gli altri.
È la firma segreta di ogni anima, l’incomunicabile e implacabile bisogno, la cosa che desideravamo prima di incontrare le nostre mogli, i nostri amici o prima di scegliere il nostro lavoro, e che desidereremo ancora sul nostro letto di morte, quando la mente non riconoscerà più né moglie né amico né lavoro.
Mentre noi esistiamo, questa cosa esiste.
Se la perdiamo, perdiamo tutto.

(CLIVE STAPLES LEWIS, dal saggio Il cielo, in Ibid., Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012, versione Kindle, 87-88%)

Conclusione

E niente.

Chiudo la paginetta con qualche altra citazione.

La prima è ancora di Lewis (sì, ve ne siete beccate tre di fila):

Lo stampo in cui si fanno le chiavi sarebbe una cosa strana se non aveste mai visto una chiave, e la chiave stessa sarebbe strana se non aveste mai visto una serratura.
La vostra anima ha una forma curiosa perché è una cavità fatta per adattarsi a una particolare protuberanza nei contorni infiniti della sostanza divina, o una chiave per aprire una delle porte della casa dalle molte stanze.
Perché non è l’umanità in astratto che dev’essere salvata, ma tu – tu, il singolo lettore, Mario Rossi o Maria Bianchi.
Beata e fortunata creatura, saranno i tuoi occhi, non quelli di un altro.
[…]
Dio apparirà ad ogni anima come se fosse il suo primo amore perché è il primo amore di ogni anima.
Il tuo posto in Cielo ti sembrerà fatto su misura per te e per te soltanto, perché sei stato creato per occuparlo – punto per punto come un guanto è stato fatto per la mano.
[…]
Ciò di cui sto parlando non è un’esperienza: avete sperimentato soltanto il desiderio che ne avete, ma la cosa stessa non è mai stata incorporata in alcun pensiero, o immagine o emozione.
Vi ha sempre invitato a uscire da voi stessi, e se non uscirete da voi stessi per seguirla, se starete seduti a covare sul desiderio e sul tentativo di serbarla, il desiderio vi sfuggirà.

(CLIVE STAPLES LEWIS, dal saggio Il cielo, in Ibid., Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012, versione Kindle, 88-89%)

La seconda citazione invece è di Andrea di Creta (650-740), un vescovo bizantino:

Stendiamo i nostri desideri quasi come mantelli per il suo passaggio, perché, attraverso le nostre aspirazioni, entri nel nostro cuore, si stabilisca completamente dentro di noi, trasformi noi totalmente in lui ed esprima se stesso interamente in noi.

(ANDREA DI CRETA, dal Discorso 9 sulle Palme; PG 97,1002)

Stendere i desiderî.

Cioè non tenerli in modo rapace nelle nostre grinfie.

Non accampare diritti.

Non attaccarci il cuore.

Non soffocarli.

Lasciarli stesi.

Con la fiducia di un bambino.

Come se fossero dei mantelli.

Ai piedi del Re.

Certi che Lui saprà cosa farne.

Dato che è stato lui a metterceli nel cuore.

Come diceva padre Maurizio Botta:

Dio entra nel nostro cuore, diventa nostro Re attraverso questi desiderî, questi mantelli deposti, queste aspirazioni. Si stabilisce completamente dentro di noi, e trasforma noi totalmente in Lui.

(MAURIZIO BOTTA, da un’omelia della XXXIII settimana del tempo ordinario, mercoledì 20 novembre 2019)

sale

(Inverno 2022-2023)

Fonti/approfondimenti
  • CLIVE STAPLES LEWIS, Prima che faccia notte: Racconti e scritti inediti, BUR, Milano 2012
  • FËDOR DOSTOEVSKIJ, Memorie dal sottosuolo, Biblioteca Economica Newton, Roma 2005
  • PAPA FRANCESCO, Catechesi sui desiderî, dall'udienza generale di mercoledì 12 ottobre 2022 (parte del ciclo di catechesi sul discernimento)
  • RENÉ GIRARD, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano 2007
  • FABIO ROSINI, il percorso di catechesi delle «Dieci Parole»

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