La dittatura del capriccio (ovvero: cos’è la gola?)

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1 • Gli anti-conformisti

Io stimo molto le persone anti-conformiste.

anti conformismo

Non intendo le persone eccentriche.

Non intendo le persone strambe.

Intendo le persone che pensano con la propria testa.

Le persone che, quando le ascolti, ti sanno stupire con le loro argomentazioni.

Che hanno un’opinione originale, inaspettata, singolare.

Non scontata.

Facciamo un esempio.

Senza fare nomi e cognomi.

Pensate a:

  • Fedez
  • Roberto Saviano
  • Diego Fusaro
  • Michela Murgia

Pensate ad un qualsiasi argomento di conversazione.

QUALSIASI.

Non c’è bisogno che chiediate a uno di questi quattro cosa ne pensa.

Riuscite ad immaginare quale sia la sua opinione, prima ancora di chiedergliela.

È prevedibile.

È scontata.

È una minestra riscaldata.

È banale.

Come scriveva Chesterton nel 1925 (avevo già citato questa frase, ma repetita iuvant):

Una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro.

(GILBERT KEITH CHESTERTON, L’uomo eterno, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2008)

2 • Una persona non-omologata

Qualche anno fa, il mio migliore amico mi ha suggerito di leggere gli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini (1922-1975).

Gli Scritti Corsari sono una raccolta di articoli che Pasolini ha scritto tra il ’73 e il ’75 (per il Corriere della Sera e altri giornali), che sono stati poi raccolti in un libro.

Confesso che prima che il mio amico me ne parlasse, Pasolini l’avevo solo sentito nominare di sfuggita, ma non sapevo bene chi fosse.

pasolini medea

Insomma, avevo completamente rimosso il ricordo di questo film noiosissimo… così come il fatto che l’avesse girato lui…

Cooomunque…

Leggendo gli Scritti corsari mi sono trovato di fronte ad un profilo con mille sfaccettature:

  • un uomo di grande cultura;
  • un anticlericale;
  • un amante della cultura italiana;
  • un intellettuale di matrice comunista…
  • …che però si è allontanato dalle posizioni di quello schieramento;
  • un uomo di sinistra…
  • …che si è dichiarato contrario al referendum sull’aborto e ai moti studenteschi del ’68;
  • un feroce critico della società dei consumi;
  • un anti-conformista;
  • un profeta.

In che senso «un profeta»?

Oh, intendiamoci…

…non voglio canonizzare nessuno (grazie a Dio, abbiamo santi a sufficienza, tra il martirologio romano e il calendario di Frate Indovino).

Quando dico «profeta» non intendo una persona che parla in véce di Dio…

…ma una persona che ha avuto uno sguardo lucidissimo sui proprî tempi, in grado di fornire un giudizio sul proprio contesto culturale che – di lì a qualche decade – si sarebbe rivelato incredibilmente preciso.

Sentite, ad esempio, cosa ha scritto Pasolini sulla cultura italiana della sua epoca, che nei trent’anni successivi alla Seconda guerra mondiale ha subito una lenta ma radicale trasformazione, sulla scia del modello statunitense:

[…] i «ceti medi» sono radicalmente – direi antropologicamente – cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori (ancora vissuti solo esistenzialmente e non «nominati») dell’ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernista di tipo americano.
È stato lo stesso Potere – attraverso lo «sviluppo» della produzione di beni superflui, l’imposizione della smania del consumo, la moda, l’informazione (soprattutto, in maniera imponente, la televisione) – a creare tali valori, gettando a mare cinicamente i valori tradizionali e la Chiesa stessa, che ne era il simbolo.

(PIER PAOLO PASOLINI, Gli italiani non sono più quelli, articolo del «Corriere della Sera» del 10 giugno 1974, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 2011, versione Kindle, 16%)

…e ancora:

Ma questo Potere ha anche «omologato» culturalmente l’Italia: si tratta dunque di una omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre.

(PIER PAOLO PASOLINI, Il potere senza volto, articolo del «Corriere della Sera» del 24 giugno 1974, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 2011, versione Kindle, 18-19%)

…e ancora:

[Fino a qualche anno fa] nelle grandi città e nelle campagne del centro-sud vigeva ancora un certo tipo di morale popolare, piuttosto libero, certo, ma con tabù che erano suoi e non della borghesia, non l’ipocrisia, ad esempio, ma semplicemente una sorta di codice a cui tutto il popolo si atteneva.
A un certo punto il potere ha avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto un consumatore, e non era un consumatore perfetto se non gli si concedeva una certa permissività in campo sessuale.
Ma anche a questo modello il giovane dell’Italia arretrata cerca di adeguarsi in modo goffo, disperato e sempre nevrotizzante.

(PIER PAOLO PASOLINI, Il genocidio, intervento orale alla festa dell’«Unità» di Milano, estate 1974, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 2011, versione Kindle, 87%)

Se un prete parla del «pudore», la gente storce la bocca…

Se la Chiesa parla della castità o della verginità, la gente parla di «repressione» e di «sessuofobia»…

…ma che succede se a fare la critica della «permissività in campo sessuale» (cit.) è un anticlericale, nonché uno tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento?

3 • La gola

Quello di cui parla Pasolini, ha un nome ben preciso nella tradizione cristiana.

Si chiama «gola», ed è uno dei sette peccati capitali (o degli otto pensieri malvagi, se usiamo la suddivisione della chiesa orientale di cui parlavo qui).

La parola «gola» è avvolta da mille pregiudizî.

Quando pensiamo ai «peccati di gola», subito vengono in mente le persone grasse.

la gola snorlax

In realtà, questo è un modo molto approssimativo di pensare alla gola.

Cos’è la gola?

Per spiegarlo, vi riporto un testo dello scrittore britannico Clive Staples Lewis (1898-1963).

A parlare è Berlicche, un diavolo super-esperto che spiega a suo nipote Malacoda (*) come sfruttare al meglio la gola per far cadere una donna in tentazione.

(*) (suo nipote nonché diavolo “alle prime armi” )

Ecco cosa scrive Berlicche nella sua diciassettesima lettera:

Mio caro Malacoda,
[…] Una delle grandi conquiste degli ultimi 100 anni è stata quella di ottundere la coscienza umana [sulla gola], tanto che ora ti sarà difficilisimo sentire una predica su questo tema o trovare una coscienza che ne sia turbata in tutta l’Europa, presa il lungo e in largo.
È stato in gran parte l’effetto dell’aver noi concentrato tutti gli sforzi sulla golosità di Delicatezza, e non sulla golosità di Eccesso.
La madre del tuo paziente […] ne è un esempio eccellente.
Essa si meraviglierebbe – e un giorno, spero, si meraviglierà – di venir a sapere che tutta la sua vita è trascorsa sotto la schiavitù di questo genere di sensualità, che le è completamente celato dal fatto che le quantità coinvolte sono piccole.
Ma che cosa importa la quantità, se riusciamo a usare della pancia di un uomo e del suo palato per produrre litigi, impazienza, mancanza di carità e preoccupazione per il proprio io?
Ogni volta che a questa donna viene posto innanzi qualcosa esce a dire, con un dimesso sospiretto, e con un sorriso: «Oh! Grazie, grazie… io desidero solamente una tazza di tè, debole ma non troppo debole, e un pezzettino di crostino abbrustolito ben croccante».
Vedi?
Poiché ciò che vuole è più piccolo e meno costoso di ciò che le è stato posto innanzi, non riconoscerà mai come golosità la sua determinazione di avere ciò che vuole, benché possa recare grande disturbo agli altri.
[…]
Il valore positivo del lavoro silenzioso, delicato che [stiamo] facendo da anni su questa vecchia signora può venire misurato dal modo con il quale il suo stomaco domina ora tutt’intera la sua vita.
Quella donna è nello stato mentale che noi chiamiamo del “Desidero solamente”.
Essa desidera solamente una tazza di tè preparata come si deve, o un uovo bollito come si deve, oppure una fetta di pane abbrustolita come si deve.
Ma non trova mai una domestica o un’amica che sia capace di fare quelle semplici cose “come si deve” – poiché il suo “come si deve” nasconde un’insaziabile richiesta degli esatti, dei quasi impossibili piaceri del palato che essa immagina di ricordare dal passato […].

(CLIVE STAPLES LEWIS, Le lettere di Berlicche, Oscar Mondadori, Milano 2011, p.69-70)

L’esempio citato nella lettera riguarda il cibo.

Ma se cambiamo argomento, si fa presto a notare come questa mentalità sia radicatissima nella nostra cultura.

Ovvero in quella che Pasolini chiamava società dei consumi.

Una società golosa.

Una società molle.

Una cultura fatta di stimoli sensoriali che alimentano falsi bisogni (basati il più delle volte su desiderî effimeri), che esigono di essere soddisfatti immediatamente a colpi di:

  • aggiungi al carrello
  • aggiorna il feed di Instagram o di TikTok per vedere se hai ricevuto un like
  • indigestione di serie tv: «dai, giuro che questo è l’ultimo episodio, poi vado a dormire!»
  • etc.

Tutto questo per allontanare lo spettro dell’horror vacui: il terrore del vuoto, di rimanere soli con noi stessi, con un silenzio che farebbe emergere domande a cui la nostra cultura edonistica non riesce a dare una risposta:

  • ma io che campo a fare?
  • qual è il senso di tutto?
  • che ci sto a fare io nel mondo?
  • qual è il senso della mia vita?

L’impazienza con cui cerchiamo una distrazione nei momenti di vuoto è direttamente proporzionale all’insoddisfazione che proviamo per la nostra vita.

E la cosa più drammatica è che le cose con cui ci distraiamo (Instagram, Netflix, TikTok, acquisti su Amazon, etc.), lì per lì, sembra che ci soddisfino…

…invece, quando passa la botta di dopamina, il senso di inutilità aumenta

…e dato che non siamo abituati a convivere con le nostre carenze, torniamo a distrarci nuovamente (*).

(*) (questa cosa si chiama ciclo di feedback della dopamina; l’esempio più noto di questo loop è il seguente: apro Instagram; posto una foto o una storia; ricevo un like; il mio cervello interpreta il like come una ricompensa e rilascia una piccola quantità di dopamina; chiudo Instagram; dopo un po’, in modo inconsapevole, sento nuovamente il bisogno di dopamina; sono spinto a postare una nuova foto/storia per ottenere un nuovo like; apro di nuovo Instagram; il ciclo ricomincia…)

Don Fabio Rosini scriveva queste parole sul peccato di gola:

[…] questo peccato deve essere inteso per bene e non in modo puerile; basti pensare che ogni peccato di gola è un suicidio larvato.
Chiariamo: il peccato della voracità riguarda tutti gli atti di assunzione di piacere, e per questo, nella spiritualità antica dei monaci del deserto, la lussuria era compresa come un derivato della gola, ossia come una parte del più grande mondo della dipendenza da atti di appagamento.
Perché dire che si tratta di larvato suicidio?
Perché gli atti in cui si dipende dal piacere sono reiterazione di un momento di orgasmo – attraverso il cibo, il comfort, la genitalità, le sostanze e tante altre cose – e questi sono atti di oblio, di switch-off, di stop alla consapevolezza.
Sono fughe narcotiche dal reale, che però, passato l’orgasmo, si risolvono in un dolore maggiore.
Ma tutto parte dal vuoto, dal senso di nulla, da riempire.

(FABIO ROSINI, San Giuseppe – Accogliere, custodire e nutrire, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2021, p.96)

4 • Gola, capricci, divertissement e… fascismo?

Dopo il paragrafo precedente, non vi sembrerà un’assurdità se vi dico che il consumismo è una conseguenza della gola.

Il consumismo fa leva sulla gola delle persone, bombardandole di stimoli.

ciclo di feedback della dopamina

Gli stimoli arrivano da tutte le direzioni…

…stimoli a comprare:

  • un Funko Pop
  • un nuovo modello di iPhone
  • un televisore più grande
  • un SUV

…stimoli a fare esperienze:

  • fare una escape room
  • assaggiare la carbonara che fanno in quel posto lì («se non l’hai mai mangiata, allora non hai mai mangiato veramente una carbonara!»)
  • andare in settimana bianca
  • fare un viaggio all’estero
  • andare a Disneyland almeno una volta nella vita

…stimoli ad omologarsi ad un modello:

  • avere successo al lavoro
  • corrispondere a certi canoni estetici (Quante volte al giorno ti guardi allo specchio? Quante volte ti lamenti del giro cosce o del tuo seno? Quante volte controlli che i muscoli del petto o i bicipiti siano all’altezza del modello che ti sei imposto?)
  • avere un certo numero di follower su Instagram (mille? diecimila? di più?)

Sapete qual è il nome che Blaise Pascal (1623-1662, matematico, fisico, filosofo e teologo francese) dava a tutto questo?

Divertissement (*).

(*) (Per chi non fosse francofono, questa parola si pronuncia mettendo la bocca così)

Ecco cosa scriveva:

La sola cosa che ci consola delle nostre miserie è il divertimento, ed è tuttavia la più grande delle nostre miserie.
Perché è proprio ciò che ci impedisce maggiormente di pensare a noi.
Senza di esso, la noia stessa in cui ci ritroveremmo ci spingerebbe a cercare un più solido mezzo di uscirne.
Ma i divertimenti ci svagano, e ci fanno arrivare inavvertitamente alla morte.

(BLAISE PASCAL, Pensieri, Rusconi, Sant’Arcangelo di Romagna (RN) 2014, p.118)

Oh, intendiamoci.

Il divertimento non è una cosa brutta! Anzi: santo e benedetto divertimento!

Il problema però è quando il divertimento cessa di essere la “ciliegina sulla torta” della vita…

…ed inizia ad essere la base su cui costruiamo la nostra esistenza; quando viviamo in apnea la settimana in attesa del weekend; quando tutte le cose che ho elencato sopra diventano un occasione per di-vergere dall’oggi, dal qui-ed-ora, dalle domande su chi sono e su dove sto conducendo la mia esistenza.

Bene.

Se le parole di Pascal vi hanno spiazzato, aspettate di sentire cosa diceva Pasolini.

Sapete in che modo Pasolini parlava della società dei consumi e del conseguente imborghesimento della cultura?

Così:

Tutto questo dà un colpo di spugna al fascismo tradizionale, che si fondava sul nazionalismo o sul clericalismo, vecchi ideali, naturalmente falsi; ma in realtà si sta assestando una forma di fascismo completamente nuova e ancora più pericolosa.

(PIER PAOLO PASOLINI, Il genocidio, intervento orale alla festa dell’«Unità» di Milano, estate 1974, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 2011, versione Kindle, 87%)

Tenete presente che Pasolini era fieramente antifascista.

Ed era anche un intellettuale ed un letterato.

Insomma, era un uomo che non usava le parole a caso…

…men che meno la parola «fascismo».

…o la parola «antifascismo»:

Ecco perché buona parte dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno.
È, insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo.
Io credo, lo credo fermamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato «la società dei consumi».
Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. Ed invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo.
[Durante il fascismo] i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi ed i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant’anni addietro, come prima del fascismo. Il fascismo in realtà li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio, nel fondo dell’anima, nel loro modo di essere.
Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali.
Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima. Il che significa, in definitiva, che questa «civiltà dei consumi» è una civiltà dittatoriale.
Insomma se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la «società dei consumi» ha bene realizzato il fascismo.

(PIER PAOLO PASOLINI, Scritti corsari, Garzanti, Milano 2011, versione Kindle, 88-89%)

5 • La «mondanità»

Non so se ci avete fatto caso, ma Gesù contrappone spesso Dio e il mondo (soprattutto nel Vangelo di Giovanni: cfr. Gv 1,10; 3,19; 7,7; 14,17; 15,19; etc.).

Che significa?

Non gli piace il mondo?

Ma… come è possibile?

Il mondo non era stato fatto «per mezzo di lui» (Gv 1,3) e «in vista di lui» (Col 1,16)?

Se ha contribuito a fare il mondo, come mai poi si lamenta?

gesu e la mondanita

Ovviamente, quando il Vangelo parla del «mondo», non intende la terra con i suoi abitanti.

Quello di cui parla Gesù è piuttosto lo “spirito del mondo”

…o, per dirla meglio, Gesù parla di quella che papa Francesco chiama «mondanità»:

Credo che noi possiamo domandarci: qual è lo spirito del mondo?
Cosa è questa mondanità, capace di odiare, di distruggere Gesù e i suoi discepoli, anzi di corromperli e di corrompere la Chiesa?
Come è lo spirito del mondo, cosa sia questo, ci farà bene pensarlo.
È una proposta di vita, la mondanità.
Ma qualcuno pensa che mondanità è fare festa, vivere nelle feste… No, no. Mondanità può essere questo, ma non è questo fondamentalmente.
La mondanità è una cultura; è una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparire, del maquillage, una cultura “dell’oggi sì domani no, domani sì e oggi no”.
Ha dei valori superficiali.
Una cultura che non conosce fedeltà, perché cambia secondo le circostanze, negozia tutto
.
Questa è la cultura mondana, la cultura della mondanità.
E Gesù insiste a difenderci da questo e prega perché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità. È una cultura dell’usa e getta, secondo quello che convenga. È una cultura senza fedeltà, non ha delle radici.
Ma è un modo di vivere, un modo di vivere anche di tanti che si dicono cristiani. Sono cristiani ma sono mondani.

(PAPA FRANCESCO, dall’omelia del 16 maggio 2020, sabato della V settimana di Pasqua)

La mondanità porta ad essere iperattivi, a non fermarsi mai, a muoversi a destra e a manca…

…ma è un muoversi irrequieto… sterile…

…come quelle persone descritte dal profeta Isaia che hanno le doglie, ma poi partoriscono vento (*):

Come una donna incinta che sta per partorire
si contorce e grida nei dolori,
così siamo stati noi di fronte a te, Signore.
Abbiamo concepito,
abbiamo sentito i dolori
quasi dovessimo partorire:
era solo vento
;
non abbiamo portato salvezza alla terra
e non sono nati abitanti nel mondo.

(Is 26,17-18)

(*) (che poi, ora che rileggo questo versetto, mi rendo conto che era un assist servito per una battuta sulle puzzette… vabbè, ormai me la sono bruciata…)

Conclusione

Qual è un antidoto per questo tran-tran?

Come si esce dalla logica della «società dei consumi»?

Come ci si libera dal ciclo di feedback della dopamina?

Come si fa a non vivere “in apnea” durante la settimana per poi stordirsi nel weekend?

Come si può mostrare agli adolescenti che “sballarsi” non è la soluzione ai problemi, ma è solo un tentativo di nascondere la polvere sotto al tappeto?

Come scriveva don Fabio:

Questi ragazzi che passano la vita nello sballo, in fondo, si disprezzano tantissimo.
E non sanno di essere oceano di bellezza.
[…]
Bisogna tirarli fuori dalla loro narcosi.
C’è da strapparli da Netflix.
Ma non rimproverandoli, per carità di Dio, che si fa peggio. Già loro non si sentono all’altezza della vita, ci metti pure il carico morale sopra, buonanotte.

(FABIO ROSINI, San Giuseppe – Accogliere, custodire e nutrire, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2021, p.96-97)

Come si propone un “di più”, ma senza rimproverare?

Come si fa a mostrare ai ragazzi che essere liberi non significa vestirsi come quello scappato de casa di Achille Lauro…

…e non significa neanche fare come Julia Roberts, che crede di essere “emancipata” se non si depila le ascelle e ci mostra il boschetto?

Come si fa a testimoniare che «libertà» vuol dire essere liberi dalla logica del consumismo? Dall’imborghesimento spirituale? Dall’essere auto-centrati?

L’ho scritto tante volte nel blog, ma non mi stancherò mai di ripeterlo:

Detto in altre parole: l’antidoto è quella che per secoli è stata chiamata imitazione di Cristo.

Ma in che consiste questa imitazione?

Imitare il suo comportamento? I suoi gesti? Il suo atteggiamento?

Mhh…

Queste cose sono importanti, ma non centrali…

…il centro consiste nell’imitare la libertà di Cristo.

E come si fa?

Si fa come dice René Girard (1923-2015), antropologo e filosofo francese:

Su che cosa si deve basare esattamente l’imitazione di Gesù Cristo?
Certo non sul suo modo d’essere o sulle sue abitudini personali, particolari di cui i Vangeli non ci dicono nulla.
Gesù non propone neppure una regola di vita ascetica nel senso di Tommaso da Kempis e della sua celebre Imitazione di Cristo, per ammirevole che possa essere quest’opera.
Ciò che Gesù ci invita a imitare è il suo desiderio, è lo slancio che lo dirige verso la meta che si è fissato: assomigliare il più possibile al Padre.

(RENÉ GIRARD, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano 2007, p.33)

sale

(Inverno 2022-2023)

Fonti/approfondimenti

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